Notizia inserita il 18/11/2009
Il nuovo report del WorldWatch Institute evidenzia un impatto molto maggiore di quel che si credeva.
"Allevamenti e cambiamenti climatici: che fare se il fattore chiave sono le mucche, i maiali e i polli?"
Robert Goodland e Jeff Anhang hanno appena stilato questo rapporto per il prestigioso WorldWatch Institute, che riprende in chiave propositiva i dati del famoso "Livestock's long shadow" pubblicato dalla FAO tre anni fa. Robert Goodland è stato consigliere della Banca Mondiale per i problemi ambientali e Jeff Anhang è ricercatore in campo finanziario per i paesi in via di sviluppo sempre presso la Banca Mondiale.
Il rapporto FAO fissava nel 18% il totale delle emissioni di gas serra attribuibili al settore zootecnico, quando all'intero settore dei trasporti veniva attributo circa il 13%. Goodland e Anhang, esaminando criticamente questi dati attraverso la riclassificazione di certe voci, la correzione di stime, il conteggio di elementi non considerati, arriva alla conclusione che quel 18% è molto di più e supera il 50% del totale delle emissioni!
Di tutte le emissioni legate alle attività umane che stanno drammaticamente sconvolgendo il clima, metà sono attribuibili all'allevamento. A questo dato allarmante di per sè bisogna aggiungere quello legato alla crescita della popolazione umana e alle proiezioni che indicano un raddoppio nel numero degli animali di allevamento entro il 2050 in assenza di fattori correttivi.
E qui veniamo alla novità di questo rapporto. Novità che poi altro non è che una considerazione di buon senso o un'espressione di onestà intellettuale. "Se il 50% delle emissioni sono legate all'allevamento (ma fossero anche il 18% poco cambia) e tutte le altre seguono a distanza, qual è il settore su cui bisogna intervenire in modo prioritario?" Problemino da scuola media inferiore, al quale però il rapporto FAO non dava risposta, e sul quale anche le grandi organizzazioni ambientaliste quali WWF, Greenpeace, ecc. continuano a parlare molto poco, o rispondono in modo elusivo.
Ma non è solo una questione di quantità, ma anche di qualità: sull'aspetto alimentare ciascuno di noi può intervenire subito, e singolarmente. Non c'è bisogno di cambiamenti nell'industria, di interventi governativi, di infrastrutture che possono non esserci. Non c'è bisogno di nulla, basta far la spesa in modo diverso, a cominicare già da subito.
L'unica cosa sensata - e semplicissima! - da fare è quindi ridurre il consumo di carne, latte, uova, disinnescare la bomba ecologica dell'allevamento. Dal punto di vista del singolo, è facilissimo.
Dal punto di vista dell'industria e dei governi, il rapporto propone un'analisi economica e finanziaria focalizzata sulle "opportunità" e le "convenienze" dell'industria del cibo ad operare un cambio di strategia a favore di prodotti vegetali. Il rapporto non esclude raccomandazioni ai governi, ad esempio nel considerare l'opzione della carbon-tax applicata ai prodotti di origine animale (invece dei generosi incentivi che vengono concessi oggi agli stessi prodotti...), ma considera più efficace rivolgersi direttamente all'industria.
Non si sottovaluta il problema economico legato a uno shift da produzioni animali a produzioni non-animali, ma si mette in chiara evidenza che questo rischio e l'ammontare degli investimenti necessari è molto minore, più fattibile ed efficace in termini di riduzione dei gas serra degli ipotizzati interventi nel settore dei trasporti o sulla produzione di energia.
Fonte:
WorldWatch Institute, Allevamenti e cambiamenti climatici: che fare se il fattore chiave sono le mucche, i maiali e i polli?, novembre/dicembre 2009
Articolo originale: Allevamenti ed effetto serra: nuovi dati
Fonte: AgireOra - informazioni e progetti animalisti
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