Notizia inserita il 21/06/2009
Un dossier nuovo espone un problema gia' noto: l'Amazzonia viene rasa al suolo per allevare animali per la produzione di carne.
Leggiamo in un articolo della Reuters del 12 giugno: "Tre importanti catene di supermercati che operano in Brasile hanno deciso di non rifornisi piu' di carne che deriva dalla deforestazione dell'Amazzonia. [...] Questa iniziativa, assunta dall'associazione di settore, fa seguito a un rapporto di Greenpeace che indica nell'industria della carne il principale responsabile della distruzione della foresta amazzonica. [...] Sempre in conseguenza di questo rapporto gli uffici del Procuratore dello stato di Para' hanno emesso una raccomandazione inviata alle maggiori catene di distribuzione e ad altri 73 acquirenti in cui si chiede di bandire l'acquisto di prodotti provenienti da queste aree deforestate. [...]".
Sicuramente è positivo che venga messo in evidenza il problema della deforestazione dell'Amazzonia e che l'industria della carne sia indicata come il vero responsabile di questo scempio. E' un dato noto ormai da molti anni, ma ogni volta che lo si ribadisce e si pubblicano nuovi dati in merito è positivo, perché si informano le persone . Il rapporto di Greenpeace da cui discendono queste prese di posizione si intitola significativamente "Slaughtering the Amazon" ("Amazzonia che macello!", nella versione in italiano).
Scorrendo velocemente questo documento vengono riconfermati i dati già noti da rapporti precedenti di altri associazioni: "l'allevamento e' responsabile per l'80% del processo di deforestazione dell'Amazzonia" e "in Brasile il settore dell'allevamento e' responsabile del 14% della deforestazione su scala globale". Sempre dal rapporto: "Il Brasile condivide con la Cina le prime posizioni per l'esportazione di pellame, ed e' il primo esportatore di carne."
Il rapporto, attraverso indagini sotto copertura, e mappatura satellitare, svela come i grossi nomi del settore si avvalgano di sottofornitori che operano fuori dalla legalita', di complicita' statali e del supporto di organismi finanziari... fatto sta che lo stesso governo brasiliano prevede di raddoppiare la quota di mercato entro i prossimi 10 anni: mercato che gia' oggi fattura qualcosa come 6.9 miliardi di dollari.
Val la pena notare che un quarto di questo fatturato stratosferico deriva dal pellame: a dimostrazione che "la pelle" e' tutt'altro che un prodotto di scarto, ma una componente essenziale dell'industria della carne, quindi chi non vuole finanziare l'industria di allevamenti e macelli non può comprare scarpe o altri oggetti in pelle.
Nel riquadro che sintetizza le conclusioni del rapporto e che elenca il "cosa fare" per risolvere il problema, troviamo:
- fermare il traffico di allevatori e compagnie coinvolte nel processo di deforestazione;
- fermare le sovvezioni a queste compagnie;
- sostenere la moratoria alla deforestazione;
- sostenere i protocollo di Copenhagen e individuare un meccanismo per
finanziare la protezione delle foreste.
Certamente tutte queste cose vanno fatte, ma ne manca una di essenziale, senza la quale tutto il resto non serve a nulla. Se si individua nell'industria della carne e del pellame il primo responsabile di questo disastro, coerenza e logica vorrebbero che Greenpeace sottolineasse l'importanza di ridurre i consumi di carne. E' l'unica vera arma che il singolo ha in mano: cambiare i suoi consumi.
Come si puo' parlare di "catastrofe climatica irreversibile", ammettere il collegamento stretto tra carne e distruzione ambientale, intitolare un rapporto "Slaughtering the Amazon", e poi eludere del tutto l'origine del problema, che altro non e' se non il consumo di carne per l'alimentazione umana?
Come si puo' chiedere di sostenere moratorie contro la deforestazione e tacere sull'unica azione che ognuno di noi puo' fare concretamente?
Non si pretende che Greenpeace inviti a diventare vegan, sarebbe inimmaginabile. Ma almeno una riduzione drastica dei consumi deve chiederla quando invita i suoi sostenitori a "partecipare" per salvare la foresta.
Invece cosa chiede? Chiede di boicottare solo quella carne, quella che viene da animali allevati nella foresta amazzonica! E di boicottare certe marche di scarpe che utilizzano il pellame di questi animali.
Ma questo non ha senso. Se i consumi continueranno ad aumentare, come sta succedendo oggi, non c'è altra soluzione se non allevare gli animali nelle uniche aree ancora disponibili sul pianeta. Già oggi il 66% delle terre fertili del pianeta vengono usate per la "produzione" di carne (per allevamenti e per le coltivazioni di mangimi per animali), se vogliamo allevare ancora più animali, dove possiamo trovare la terra per farlo? Nelle foreste. E quindi è impossibile evitare la deforestazione se non si diminuiscono i consumi di carne.
Da qualsiasi allevamento provenga la carne che si mangia - o la pelle delle scarpe e dei divani - questo consumo provoca sempre e comunque la deforestazione dell'Amazzonia o di altre foreste. Solo diminuendo drasticamente i consumi, meglio ancora azzerandoli, si potrà liberare terreno e non sarà più necessario abbattere le foreste.
Un'altra soluzione non esiste. E Greenpeace, sia internazionale che italiana, ancora una volta, non lo dice, e invita soltanto a scegliere una marca di scarpe piuttosto che un'altra, e a comprare la carne in una data catena di supermercati piuttosto che un'altra. Come se questo cambiasse qualcosa.
Chi non vuole essere preso in giro e prendere in giro se stesso, può fare una cosa sola: preso coscienza della situazione, mangiare in un modo più sostenibile, aumentando la quota di cibi vegetali e diminuendo quella di cibi animali nella propria alimentazione di ogni giorno.
E' la scelta più potente che possiamo fare, facciamola, in tanti.
Fonti
Reuters, Brazil retailers ban beef from cleared Amazon area, 12 giugno 2009
Greenpeace International, Slaughtering the Amazon (summary), giugno 2009
Articolo originale: L'Amazzonia distrutta dai macelli
Fonte: AgireOra - informazioni e progetti animalisti
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