Notizia inserita il 19/07/2011
Philippe Daverio presenta
22 luglio - 8 agosto
Sala Rilke del Castello di Duino dei Principi della Torre e Tasso
L'architettura sicuramente non è solo progetto, anzi quella vera è solo quella costruita, quella tangibile, quella che ha preso forma. Semmai prima di essere fisica l'architettura può essere mentale, può essere frutto d'un sogno o d'una elaborazione lucida dell'intelletto nel suo funzionamento razionale. L'architettura è archi-disciplina.
Carmelo Nino Trovato s'è laureato in architettura per diventare artista. Ha seguito un percorso che altri prima di lui avevano già tracciato, altri che per anni ho frequentato, Massimo Scolari con i suoi acquarelli impensabili e Arduino Cantafora con le sue ricerche alternate fra modellismo nostalgico e creazione transepocale. Questi, sulla scia del miglior lavoro d'ingegno di Aldo Rossi, avevano deciso di abbandonare il progetto da concorso inutile e l'esercitazione accademica per costruire davvero, essendo loro stessi gli artefici delle loro fabbriche. Avevano deciso di portare a termine il sogno e l'idea direttamente con la pittura. Invece di affidarsi agli inutili incarichi d'una Italia che aveva rinunciato all'architettura per sostituirle la banale edificazione, s'erano messi integralmente in proprio e delineavano nello studio lo spazio edificabile d'una tela o d'una tavola per costruirvi le loro città ideali e le loro architetture sperimentali.
Ho ritrovato come per caso a Trieste la medesima pratica in Nino Trovato, una generazione dopo. Trieste è città adatta ad ogni esperimento di frontiera; lo definisce la caratteristica stessa del suo collocamento geografico. E' pure adatta a fluttuare fra i tempi diversi della storia recente, fra la melanconia e l'ansia, fra imperi dimenticati del centro e dell'est d'Europa e futuri probabili assetti tutti ancora da verificare. Nino Trovato vi ha per anni, segretamente, costruito i suoi studi sulle tele. Con risultati oggi francamente riscontrabili nella loro articolata ambiguità dove la fuga dell'occhio corre verso l'infinito punto della visione onirica. In questo spazio che diventa volume costruito della mente avviene la sottile concrezione delle idee, quella che plasma l'edificio come il volto, che inventa simmetrie capaci di ricordare il sistema bilobale del cervello quanto le altre simmetrie del corpo umano, incluse al di sopra di tutte quelle del sesso, ovviamente nell'identificazione subcosciente che ne hanno dato gli indagatori asburgici di cent'anni fa. E le fluidità acquatiche, acque morte o lentamente scorrevoli, ne sono il necessario corollario, così come quegli accenni di vegetazioni che portano fuori dal fabbricato ma sicuramente non dall'opera determinata dell'uomo. Piccole curiose meraviglie lavorate con attenta determinazione, con la pazienza che consente un tempo senza tempo dove il rigore non è quello degli orari ma dell'applicazione. Contributi significativi però all'elaborazione d'una architettura probabilmente gravida di ipotesi di scoperte, non nel campo del cemento armato, della pietra o delle promozioni, ma dello spirito. Quello poetico dell' enthusiasmòs.
Vi è in tutto il suo percorso un qualcosa di sommesso, di silente, di garbato. Un'arte che, come la personalità del suo autore, non richiede affermazioni clamorose, dibattiti da palcoscenico, ma sa di potersi insinuare fra i meandri del caos attuale proprio grazie alla sua sottile ambiguità. Un'arte per chi ha tempo da dedicare, attenzione non rapida e voglia di scoprire lasciando alla propria testa il diritto di ripercorrere sentieri analoghi in quel mondo onirico delle forme costruite che la mente svincolata dalle trame del conformismo secreta con automatica regolarità. Un diritto alla contorsione, uno spiraglio di libertà.
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